Microbiota cutaneo e nutraceutici

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microbiota nutraceutici

L’organismo umano è colonizzato da un insieme molto nutrito di batteri, che nel complesso risultano dieci volte più numerosi delle cellule che costituiscono il corpo umano stesso.

Questo insieme di batteri e altri microrganismi prende il nome di microbiota e a tutti gli effetti è da considerarsi un organo acquisito dopo la nascita.

Le comunità di batteri sono distribuite in maniera differente nell’organismo, raggiungendo i livelli massimi nel tratto gastro-intestinale. In ogni caso anche la bocca, la vagina e la pelle presentano un numero non trascurabile di batteri.

Nell’intestino, in particolare, abbiamo da 1 a 1,5 kg di biomassa batterica, che costituisce più della metà del peso secco delle feci.

Il tratto intestinale rappresenta un’importante interfaccia tra il mondo esterno e l’organismo, che viene regolata dalla normale barriera presente a livello della mucosa. Ci sono molti casi in cui questa barriera viene meno, anche solo in parte, portando ad un’alterata permeabilità intestinale. In questo modo diverse sostanze, che in genere dovrebbero rimanere confinate all’interno dell’intestino e quindi espulse con le feci, riescono a superare la parete e a venire in contatto con il sistema immunitario, portando a condizioni allergiche croniche, infiammazione e anche malattie autoimmuni.

Un discorso simile può essere fatto anche per la cute, composta da diverse nicchie che ospitano il microbiota cutaneo costituito da batteri, virus, funghi e, in minima misura, anche acari.

Ci sono mediamente 10 milioni di batteri per cm2 di pelle.

E’ importante distinguere i batteri residenti, o commensali, da quelli transitori. I primi sono gruppi relativamente costanti che si rinnovano e ristabiliscono le nicchie ecologiche preesistenti dopo qualunque perturbazione, mentre i secondi derivano dall’ambiente circostante, persistono sulla pelle per poche ore o giorni e in condizioni normali non sono patogeni.

Il microbiota cutaneo si inizia a formare al momento della nascita quando il feto passa da un ambiente sterile a quello esterno, contaminandosi con i microbi vaginali o fecali materni.

A dire il vero, si è recentemente dimostrato che al momento della nascita il feto ha già avuto contatti con batteri appartenenti al microbiota materno. Questo modifica in maniera importante una concezione che è rimasta in essere per diversi decenni.

È anche importante sottolineare che i bambini nati da parto vaginale acquisiscono comunità batteriche simili al microbiota vaginale materno, mentre quelli nati da parto cesareo mostrano un microbiota più simile a quello presente sulla cute di chi ha assistito al parto o presente nella stessa sala da parto.

Nelle primissime fasi della vita le associazioni microbiche sono dominate dagli Stafilococchi. Con la crescita, le comunità microbiche cutanee diventano sempre più diverse fino a divenire simili a quelle dell’adulto già all’età di 12-18 mesi.

Nella pelle si possono distinguere i siti sebacei o grassi, i siti umidi e i siti secchi. Nei primi predominano le specie di Propionibatteri e di Stafilococchi, mentre nei siti umidi risultano particolarmente abbondanti le specie di Corinebatteri e anche di Stafilococchi. Una popolazione mista di batteri risiede nei siti secchi, con una maggiore prevalenza di β-proteobatteri e Flavobacteriales.

Tornando a parlare di batteri commensali, un esempio molto importante per la nostra cute è rappresentato da Staphylococcus epidermidis. Questo batterio costituisce, infatti, la principale barriera nei confronti dello Staphylococcus aureus, in buona parte grazie al fatto che produce antibiotici naturali, soprattutto i lantibiotici. Una diminuzione di questo commensale, ad esempio causata da un trattamento antibiotico aspecifico, potrebbe favorire indirettamente lo sviluppo e l’infezione da Staphylococcus aureus.

Gli stessi batteri commensali, tuttavia, possono trasformarsi in patogeni opportunisti nel momento in cui vi sia, ad esempio, un’importante riduzione delle funzioni del sistema immunitario o un’alterazione dell’effetto barriera di una mucosa. Come si può vedere, il mantenimento di un microbiota in equilibrio, o eubiotico, dipende da diversi fattori interconnessi e anche complessi.

Ci sono diversi elementi in grado di modulare il microbiota cutaneo. La fisiologia dell’ospite, le caratteristiche dell’ambiente esterno, il sistema immunitario, il genotipo dell’ospite, lo stile di vita e possibili condizioni patologiche sottostanti sono tutti fattori che esercitano un’influenza specifica.

L’industria alimentare e cosmetica sta sviluppando nuove strategie per stabilire la relazione tra il consumo di sostanze nutritive e la salute della pelle.

La supplementazione dietetica con vitamine, minerali o acidi grassi essenziali viene ampiamente proposta per migliorare le condizioni della cute. In questo caso gli ingredienti attivi possono dividersi in macronutrienti (potassio, magnesio, calcio, omega-3), micronutrienti (vitamine e minerali) o sostanze fitochimiche.

Una categoria a parte e relativamente recente è rappresentata dai probiotici, che sono stati definiti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) come “microrganismi vivi che, se somministrati in quantità adeguate, conferiscono almeno un effetto benefico all’ospite”.

Un probiotico, per essere definito tale, deve in primis arrivare vivo, vitale ed in numero adeguato nell’intestino, quindi replicarsi rapidamente e, una volta diventato numericamente importante, esercitare tramite il proprio metabolismo almeno un effetto benefico per l’organismo umano.

Come per la cute, è possibile distinguere tra il microbiota del lume, più rilevante per le sue funzioni metaboliche, e il microbiota di parete, che esercita una maggiore influenza sul sistema immunitario.

Una caratteristica importante di alcuni probiotici è la capacità di ostacolare la crescita e lo sviluppo di potenziali patogeni, esercitando in alcuni casi anche un effetto battericida.

Due delle disbiosi cutanee più conosciute e rilevanti sono associate al già menzionato Staphylococcus aureus e al Propionibacterium acnes. Il primo è il principale colonizzatore della cute atopica propria della Dermatite Atopica (DA), mentre il secondo gioca un ruolo centrale nello sviluppo delle lesioni tipiche dell’acne.

Un probiotico selezionato, Lactobacillus salivarius LS03, ha dimostrato in vitro una spiccata attività di inibizione di P. acnes. Questa attività è stata studiata su piastra microbiologica, evidenziando degli aloni di inibizione importanti. Oltre a questo, L. salivarius LS03 si è dimostrato anche un forte anti-infiammatorio, andando così potenzialmente a spezzare la propagazione e amplificazione del processo infiammatorio.

La DA, d’altro canto, interessa ormai il 15-20% dei bambini e il 2-10% degli adulti. In Italia l’incidenza è pari all’8,1%. Nel 60% dei casi inizia durante il primo anno di vita, mentre addirittura il 45% inizia nei primi 6 mesi di vita.

La patogenesi della DA è complessa e dipendente da più fattori, tra cui una ridotta barriera dell’epidermide e mutazioni nel gene della filaggrina. I difetti di barriera nella DA sembrano comunque andare oltre la pelle, interessando anche la mucosa intestinale.

I microrganismi probiotici con un valore bioterapeutico possono modulare le risposte immunitarie della mucosa, portando così a una riduzione dell’infiammazione gastrointestinale. L’effetto potrebbe estendersi anche oltre l’intestino, andando a ridurre la sensibilità della pelle e supportando la sua funzione immunitaria.

Uno studio clinico specifico sull’uomo ha dimostrato la capacità del probiotico Lactobacillus salivarius LS01 di ridurre la gravità della dermatite dopo 16 settimane di trattamento, mentre nel placebo non si è registrato alcun miglioramento significativo. Parallelamente a questi risultati sulla gravità dei sintomi, si è registrata una riduzione di un indice di traslocazione microbica, suggerendo così un miglioramento dell’effetto barriera a livello intestinale.

Oltre al miglioramento dei sintomi della malattia, è stata dimostrata la capacità del probiotico di integrarsi nel microbiota intestinale, essendo così rilevabile nelle feci dei soggetti anche fino ad un mese dopo il termine dell’assunzione.

In conclusione, ceppi probiotici selezionati possono inibire selettivamente Propionibacterium acnes o Staphylococcus aureus direttamente nell’intestino, contribuendo al ripristino del normale effetto barriera.

Sarà interessante, in futuro, andare a studiare anche delle possibili formulazioni per uso topico contenenti gli stessi probiotici, oppure alcune loro frazioni attive, in modo da velocizzare l’insorgenza degli effetti benefici e garantire un’esperienza ancora più efficace per l’utilizzatore finale.

A cura del Dr. Luca Mogna

Ph.D (Probiotical S.p.A., Novara)

Novembre 2018